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Lo scorso maggio, in un momento di eccessivo ottimismo, avevamo scritto che forse il progetto della ricostruzione in Porto Vecchio della piscina terapeutica Acquamarina stava per diventare realtà. Certo, non nell’immediato, in quanto la fine dei lavori era stata preventivata per il 2022, ma qualcosa sembrava muoversi nella giusta direzione. Invece, ancora una volta, le speranze di coloro che vorrebbero e avrebbero bisogno di  usufruire al più presto di una piscina terapeutica per motivi di salute e non solo, sono state disattese: il Comune, dopo aver vagliato il progetto presentato dalla ditta di costruzioni Monticolo&Foti, lo ha rigettato, lasciando nello sconforto gli (ex) utenti dell’Acquamarina che speravano davvero in una risoluzione del problema.

Il progetto della Monticolo&Foti era stato pensato specificatamente per coprire una funzione sociale: una struttura  innovativa e moderna, priva di barriere architettoniche, con l’ingresso in acqua facilitato pensato proprio per chi ha difficoltà. Insomma, un unicum in regione,  accolto peraltro con entusiasmo non solo dagli (ex) utenti della piscina ma anche dalle associazioni che la gestirebbero, il Policlinico Triestino e la Triestina Nuoto. Ma le preoccupazioni del Comune riguardano i costi e il tipo di partenariato: il progetto una specie di leasing ventennale – con la ditta costruttrice che si occuperebbe della manutenzione per tutto il periodo -, che l’amministrazione comunale inizierebbe a pagare dal 2023 con una quota fissa onnicomprensiva per 20 anni. La cifra, che sarebbe definita sulla base delle tre diverse proposte di progetto che variano a seconda del numero di vasche, non avrebbe superato, nell’ipotesi più onerosa, i 15 milioni di euro da ripagare, appunto, in vent’anni. Circa 750.000 euro l’anno, in parte recuperabili visto l’enorme bacino di utenza che aveva l’Acquamarina.  Il Comune invece vorrebbe un project financing puro, per evitare pagamenti che in futuro potrebbero rivelarsi onerosi. Quindi l’amministrazione comunale rilancia avviando una consultazione di mercato alternativa all’unico progetto finora presentato, insistendo sull’idea di una spa con annesso ristorante, come il sindaco aveva chiaramente esposto durante la trasmissione Ring dello scorso 15 maggio (“Non faccio ospedali” aveva dichiarato perentorio, facendo con le dita il gesto dei soldi).  Anche se il nuovo bando parla di un circuito di piscine, di cui almeno  una, quella principale, deve essere terapeutica e di dimensioni non inferiori a quella dismessa dell’Acquamarina, è evidente che, nell’insieme, l’aspetto terapeutico diventerebbe un accessorio, essendo il resto della struttura tarato su giochi e aree benessere.  Il progetto iniziale risulta dunque completamente snaturato. Spa e ristorante non si sposano con l’idea di una piscina terapeutica: sono due strutture diverse, con funzioni diverse, rivolte ad un pubblico diverso, con finalità opposte: spa e ristorante a fini di lucro, piscina terapeutica a scopo sociale.

In zona inoltre, esistono già delle SPA: si pensi a Porto Piccolo, a Grignano, ma anche in alcuni alberghi in città. Le aree benessere non mancano, mancano le aree dedicate alla salute.

Da non trascurare il fatto che, con il nuovo bando, i tempi si allungherebbero ulteriormente: la scadenza, che era il 30 giugno, ora slitta al 10 luglio 2020. Sempre che arrivino altre proposte.  Nel frattempo, gli (ex) utenti della piscina terapeutica, almeno quelli che possono, continuano a spostarsi ad Ancarano o a Grado. Quelli con meno disponibilità di movimento, niente.

Apprezziamo le preoccupazioni economiche del Comune e ci consola davvero sapere che i nostri amministratori siano così oculati.  Però crediamo che il dovere principale di un’amministrazione  sia in primis quello di occuparsi dei propri cittadini, e dunque di fornire loro servizi adeguati. Tutto il resto (SPA, luna park acquatici, ovovie, e chi ne ha più ne metta) va bene, una volta soddisfatti i bisogni di chi vive la città ogni giorno. Il futuro di trieste sono i suoi cittadini, non i turisti.

 


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Di effemme