Condividi

Il Consiglio dei Ministri del 2 febbraio ha approvato il disegno di legge Calderoli sull’autonomia differenziata.

E’ il primo concreto passo verso la dissoluzione dell’unità nazionale, intesa come impossibilità futura di fare politiche nazionali, praticamente su tutto, ad iniziare da scuola e sanità, la bomba messa sotto i contratti nazionali di lavoro.

Come si è arrivati fin qui? Rimandiamo agli articoli apparsi su questo giornale nel corso dell’ultimo anno, dalla riforma del titolo V della Costituzione del 2001, alle preintese di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna con il governo Gentiloni in scadenza, del febbraio 2018, alle bozze del governo Conte 2 e del governo Draghi.

Con la vittoria della destra alle elezioni politiche, il ministro per le autonomie Calderoli ha impresso una forte accelerazione, redigendo una bozza, che oggi è trasformata in disegno di legge dal governo, per disciplinare le modalità per attuare l’autonomia differenziata.

Non disponiamo, al momento in cui scriviamo, del testo uscito dal Consiglio dei Ministri del 2 febbraio ma, a giudicare dalle anticipazioni fornite dalla stampa, le modifiche alla bozza Calderoli originaria non sono di sostanza.

L’iniziativa per ottenere una o più delle materie su cui  legiferare in piena autonomia spetta alla singola regione, che ne fa richiesta.

Il successivo percorso é scandito dalle tappe previste dallo stesso disegno di legge approvato il 2 febbraio e dalla finanziaria 2023 che disciplina la procedura per la fissazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP). La soglia minima di fruizione di diritti legati a servizi fondamentali per la cittadinanza (sanità, istruzione, trasporti ecc.) da assicurare, finanziariamente, in base a costi e fabbisogni standard. Non si tratta quindi di livelli uguali di prestazioni da erogare da parte dello stato/regioni/province/città metropolitane/comuni. Secondo la Costituzione la determinazione dei Lep è competenza esclusiva dello Stato.

Ciò che contraddistingue tutto il procedimento è l’estrema accelerazione, almeno sulla carta, poiché con la fissazione dei Lep, si dovrebbe essere, in teoria, in condizione di trasferire le competenze alla regione richiedente già nei primi mesi del 2024. Diciamo in teoria sia perché tutte le regioni, ordinarie e speciali, ad eccezione dell’Abruzzo e del Molise, hanno avviato atti diretti a richiedere materie di autonomia differenziata, ma solo Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, “si sono già portate avanti con il lavoro”, con le preintese con il governo Gentiloni. Sia perchè un anno di tempo per definire i Lep, materia complessa, mai affrontata in vent’anni, dopo la riforma del titolo V della Costituzione, sembra davvero poco.

L’altro dato, estremamente politico, che caratterizza l’operazione Calderoli, è, sia nel processo di perfezionamento delle intese per il passaggio delle competenze Stato – Regioni, sia in quello di definizione dei Lep, l’emarginazione del Parlamento. Per le intese, viene richiesto un parere non vincolante di commissione parlamentare sullo schema di intesa Stato – Regione, e la “deliberazione” a maggioranza assoluta dei componenti, termine non chiaro che sostituirebbe l’originario “mera approvazione”, cioè prendere o lasciare senza possibilità di modifica, sul testo definitivo dell’intesa, dove la vera istanza decisionale è l’accordo politico tra governo e regione richiedente, come si trattasse di due soggetti paritari.

Nella fissazione dei Lep, che per la rilevanza del tema dovrebbe essere pane del Parlamento, le Camere fanno da mere spettatrici rispetto al lavoro di una Cabina di Regia ministeriale e, qualora questa non dovesse rispettare il termine di un anno, assegnatole a partire dalla legge di bilancio 2023, addirittura di un singolo Commissario nominato per l’occasione, che in un mese dovrebbe portare a termine il lavoro. Unica prerogativa anche qui un parere da fornire sul testo del o dei Decreti del Presidente del Consiglio che fissano i Lep. Il Parlamento istanza usata per consigliare il Governo e i Presidenti di Regione, e non organo in cui il governo deve trovare il consenso dei rappresentanti del popolo per attuare il suo indirizzo politico.

Sui soldi per far funzionare le nuove competenze, difficilmente si poteva trovare un’articolazione più complessa, che lascia parecchi dubbi. La sostanza è che le intese Stato Regione producono anche questo effetto tramite una conferenza Stato – singola Regione, che stabilisce l’ammontare delle risorse necessarie. Il tutto si gioca sui tributi che ogni regione può introdurre e sulla percentuale di tasse dovute allo stato, riscosse nella regione, che si possono trattenere, e certamente le regioni ricche batteranno sul concetto ingannevole di residuo fiscale. Poi il ddl Calderoli si profonde, con ripetitività perfino sospetta, in rassicurazioni sulla “invarianza” (testuale) finanziaria degli effetti di questo processo, per le regioni che non chiedessero l’autonomia differenziata. Non si capisce con quale credibilità visto che lo stesso ddl Calderoli prevede che tutto questo processo non deve comportare nuovi o  maggiori oneri a carico della finanza pubblica e  qualora  la  determinazione  dei  LEP e  dei  relativi  costi  e fabbisogni standard  ne determini,  ci vuole una  legge apposita che provveda al finanziamento.

Unici ”progressi” registrabili con il testo approvato dal Consiglio dei Ministri del 2 febbraio sono: l’ apparente retrocessione del criterio della spesa storica, finanziamento di servizi essenziali in base a quello che nel territorio si è speso finora, da riferimento per finanziare l’attribuzione delle nuove competenze alle regioni richiedenti in attesa della fissazione dei Lep, a base di lavoro per l’individuazione dei Lep; la fissazione di una scadenza decennale delle intese che prima potevano essere a tempo indeterminato. Visto che non si può proporre referendum abrogativo sulle leggi che trasferiranno le competenze alle regioni, una piccola possibilità di tornare indietro almeno dopo dieci anni.

Ultima considerazione, non facciamoci ingannare, in questa imminente campagna elettorale per le regionali del Friuli Venezia Giulia, da chi afferma che l’autonomia differenziata non riguarda noi, regione a statuto speciale. Anche il ddl Calderoli fa esplicito riferimento alla legge costituzionale del 2001 che ha introdotto anche il nuovo testo del titolo V, che prevede anche per le regioni a statuto speciale la possibilità di richiedere ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, affinché non rimangano indietro nella grande corsa all’autonomia differenziata. ( V. anche nostro articolo sulla regionalizzazione della scuola in Friuli Venezia sul Lavoratore di dicembre 22).

 


Condividi