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Diversamente dalla destra, la cui indignazione per la cessazione delle proroghe sulle concessioni balneari, in apparenza, mette in crisi la coesione della maggioranza di governo, inducendo Draghi a minacciare, al momento in cui scriviamo, la questione di fiducia, sul disegno di legge concorrenza, decine di associazioni, sigle sindacali e partiti della sinistra di opposizione sono, da mesi, in lotta per eliminare, dalla proposta governativa, l’art. 6 che, sostanzialmente, vuole indurre i Comuni a privatizzare tutti i servizi per le comunità locali.

L’obiettivo primario di questa mobilitazione è lo stralcio e la completa riscrittura di questo articolo, che costituisce il cuore politico di questo disegno di legge, ove si dice ai Comuni che, se vogliono, possono tenere in mano pubblica i servizi essenziali e i trasporti ma devono giustificare il perché hanno scelto di non metterli a gara per l’affidamento ai privati, dimostrando la migliore efficienza economica della scelta pubblica oltre a sottoporsi a pe-riodici controlli sulla permanenza ed effettività di tale requisito, da parte dell’autorità nazionale per la concorrenza.

Un aspetto al quale i grandi mezzi di informazione non concedono lo stesso spazio e non è una buona notizia, anche se ci sorprende poco, posto che su questo punto, al contrario delle concessioni sulle spiagge, i partiti di governo sembrano d’accordo. E questo a dispetto del fatto che sempre più numerosi, ma ancora troppo pochi, consigli comunali e regionali, si esprimano contro il testo dell’art. 6 rivendicando le proprie prerogative sulle decisioni che riguardano i servizi per le città e i loro abitanti. Compresi il consiglio comunale di Trieste e quello regionale del Friuli-Venezia Giulia che, con loro deliberazioni, convergono nella critica a questo aspetto del ddl concorrenza.

Il governo Draghi con questo disegno di legge, dietro le parole d’ordine di “crescita, competitività, concorrenza” vuole al contrario imporre una nuova ondata di privatizzazioni di beni comuni fondamentali, dall’acqua all’energia, dai rifiuti al trasporto pubblico locale, dalla sanità ai servizi sociali e culturali.

Come lo fa? Toglie alle comunità locali la possibilità di amministrare i beni comuni, di assicurare diritti fondamentali e di poter esercitare un controllo democratico su questa fruizione.

Si seppellisce la storica funzione pubblica e sociale dei Comuni, che vengono trasformati in enti preposti a privatizzare tutto.
E questo nonostante nel 2011, con schiacciante maggioranza, gli elettori votarono Sì al referendum contro la privatizzazione dell’acqua e dei beni comuni sfruttando.

Abbiamo già sperimentato cosa significano le privatizza-zioni dei beni comuni e dei servizi pubblici: nessuna cura delle risorse naturali, peggioramento quantitativo e qualitativo dei servizi, aumento esponenziale delle tariffe, fine di ogni controllo democratico sulla loro gestione.

Le privatizzazioni peggiorano drasticamente anche i diritti del lavoro, riducendo l’occupazione e i salari, aumentando lo sfruttamento e la precarietà, azzerando le competenze accumulate in decenni di lavoro pubblico.

E’ allora necessario cambiare scopo alle politiche pubbliche.

Non più crescita fine a se stessa, concorrenza e competitività come la pensano loro, ma una società fondata sul prendersi cura, sulla valorizzazione del lavoro e della sua sicurezza, sull’intervento diretto del pubblico nell’economia, e infine sul valore sociale dei beni comuni, a partire dall’acqua, con la possibilità per lavoratori e cittadini utenti di controllarne la gestione. Dicono di voler incrementare la concorrenza. Abbiamo visto cosa hanno prodotto le privatizzazioni nostrane ? Già da molto tempo il settore del gas e dell’energia elettrica si è strutturato come oligopolio, cioè pochi grandi soggetti industriali, aziende nazionali come ENI e ENEL e grandi multiservizi, come Hera, tutti quanti animati dal-la logica privatistica di massimizzare i profitti. La lotta sul disegno di legge sulla concorrenza è lotta tra due visioni di società: da un lato, un’idea che mira alla massimizzazione del profitto ovvero un liberismo senza limiti che cerca sempre nuovi spazi da mercificare; dall’altro lato, la prospettiva, che troviamo nella nostra Costituzione, che pone al centro la persona inserita in una rete di relazioni, la dignità, i diritti, la partecipazione, la solidarietà. Si prende un’altra strada non solo rispetto alla Costituzione che, nell’ambito dei principi fondamentali, tutela l’autonomia locale, nulla a che vedere con quella differenziata di Zaia, Fontana e Bonaccini.

È un’autonomia che esprime un’idea di territorio come luogo vissuto, di pari dignità sociale tra le persone, di esercizio dei diritti, di soddisfazione dei bisogni. Attraverso l’autonomia passano il pluralismo, la sovranità che appartiene al popolo (art.1 della Costituzione)., la valorizzazione della partecipazione. Si tratta di una prossimità che da concretezza ai diritti, in armonia con l’ uguaglianza sostanziale (art. 3, c. 2, Cost.). I servizi pubblici locali sono strumento per la tute-la della persona, della sua dignità, della sua emancipazione: a questo sono finalizzati e a questo devono tendere, non al profitto. L’articolo 6, al contrario, sembra scritto come se la Costi-tuzione non esistesse ed assume invece. come riferimento, la nota lettera della BCE, a firma di Draghi e Trichet, inviata all’Italia il 5 agosto del 2011, in cui si afferma testualmente: «è necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali».

Per questo sosteniamo, insieme a molti altri, la campagna sul ddl concorrenza e l’impegno dei parlamentari di opposizione per la modifica sostanziale dell’art.6.

[Fotografia con licenza Creative Commons]


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