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di Sergio Dalmasso*

 Nel lontano 2002, ho pubblicato Rifondare è difficile, che riepilogava le vicende del PRC, dalla fondazione (anzi dall’opposizione alla Bolognina) sino alle giornate di Genova (luglio 2001). Scarsa  l’attenzione, sia interna sia esterna, riscontrata. Qualche scheda su riviste di nicchia, qualche presentazione- dibattito, pochissimi riscontri.

Questo in un panorama di testi su Rifondazione – o soggettivi e spesso polemici, tesi a sostenere le ipotesi di questa o quella matrice interna, – o di taglio prevalentemente sociologico (Bertolino, De Nardis) – o poco utilizzati (Favilli).

Questo secondo volume copre gli anni dal 2001 (le giornate di Genova, il ruolo di Rifondazione, il movimento dei movimenti) al 2011, simbolicamente segnato dalla chiusura di “Liberazione”, ridotta ormai a sole 8 pagine.

Sono gli anni, dopo la rottura con il governo Prodi e la scissione “cossuttiana”, della apertura ai movimenti, della attenzione alle tematiche dell’ecologia politica, del rapporto nord/sud del mondo, del rifiuto della tenaglia terrorismo/guerra, del dibattito sulla nonviolenza. Sono gli anni dell’emergere di una nuova generazione e del parziale cambiamento di Rifondazione che è oggettivamente egemone nelle giornate di Genova, l’anno successivo nell’incontro di Firenze, e che, in quanto partito, è presente a Porto Alegre.

Bertinotti sostiene a posteriori che sia stato un errore non sciogliere il partito in quella fase. Altri ritengono, al contrario, che questa innovazione abbia significato scarsa attenzione al ruolo dell’organizzazione, dei circoli, delle federazioni in una “illuministica” riforma dall’alto, basata eccessivamente sul ruolo del segretario e sul suo indubbio impatto mediatico.

Sta di fatto che la scelta di alterità espressa fra il 2001 e il 2003, cessa, proprio nel 2003, quando il PRC, con pochi appoggi e l’adesione tardiva della CGIL, tenta la strada del referendum per l’estensione dello Statuto dei lavoratori alle piccole imprese. La campagna contraria è intensissima: giornali, radio, TV, partiti, lo stesso Cofferati invitano al non voto. Partecipa un quarto dell’elettorato (il 25%). Bertinotti rifiuta la strada, impervia, del tentare di aggregare quest’area alternativa, e dichiara immediatamente che l’ipotesi di autosufficienza non può più essere percorsa. Le istanze di movimento debbono essere portate all’interno del governo e Rifondazione ne sarà il tramite.

Su questa base si va alle elezioni europee del 2004 che vedono una discreta crescita (6,1%), al congresso di Venezia (2005) che segna una forte affermazione dell’ipotesi bertinottiana, alle regionali del 2005, sempre all’interno del centro- sinistra, con forte aumento degli/delle elett* (lieve calo in percentuale), quindi alla stesura del programma dell’Unione (centinaia di pagine) e alle politiche del 2006.

La vittoria dell’Ulivo avviene per una incollatura. Iniziano due anni difficilissimi per Rifondazione, con il presidente della camera (enorme caduta di immagine), un ministro in un ministero di poco peso, una vice ministra, alcun* sottosegretari/e. Tutti gli elementi qualificanti del programma sono disattesi. La legge 30 sul lavoro, la Moratti sulla scuola, la Bossi- Fini sulla migrazione rimangono intoccabili. La speranza di inserire negli atti del governo le spinte di movimento resta sulla carta.

Il tema focale diventa la guerra, con le spese militari per armamenti e per la “missione di pace in Afghanistan. Nel febbraio 2007, dopo una grande manifestazione a Vicenza contro il Dal Molin, Rifondazione vota il bilancio militare. Il governo non ottiene la maggioranza per il “non voto” di due senatori (Rossi del PdCI, Turigliatto di Rifondazione). Viene immediatamente ricostituito, con un programma più moderato. E’ crescente il distacco tra Rifondazione e la propria base sociale che emerge nettamente nelle elezioni amministrative, ma soprattutto nei luoghi di lavoro.

La scelta di governo produce due ulteriori scissioni, questa volta “a sinistra”, dopo quelle di Garavini- Magri (1995) e di Cossutta, Diliberto, Rizzo (ricordiamolo perché tutt* se ne sono dimenticat*) nel 1998. Nascono il PCL (2006) e Sinistra critica (2007).

Prende corpo intanto la costruzione della Sinistra Europea, con altre formazioni a livello continentale (polemiche interne per la assenza di alcuni partiti comunisti e di formazioni più “radicali”), ma soprattutto l’ipotesi di sostanziale superamento di Rifondazione all’interno di una unità con altre formazioni (PdCI, Verdi, Sinistra democratica) su una posizione “acomunista”. Qualcuno ricorderà l’espressione di Bertinotti per cui il comunismo è tendenza culturale all’interno di una formazione più ampia. Su questa base, si svolge il seminario nazionale nel dicembre 2007 e si decide di presentare le liste dell’Arcobaleno, previste per i primi mesi del 2008.

A gennaio 2008, però, il governo Prodi crolla, per le defezioni di Dini e Mastella e per il protagonismo del nuovo segretario PD, Veltroni, convinto di doversi liberare di un governo di coalizione e di poter vincere, in un testa a testa contro Berlusconi.

Non si riesce a ricompattare una maggioranza, per il rifiuto, soprattutto veltroniano, di riformare, in senso proporzionale, la legge elettorale.

Le elezioni confermano il disastro annunciato, con netta vittoria delle destre, ritorno in sella di Berlusconi, formazione di un governo che durerà oltre tre anni e il cui bilancio sarà molto negativo.

Cresce il PD, anche se la stagione veltroniana sarà di breve durata; fiammata dell’IDV che sembra incarnare un’opposizione “non partitica” e non priva di elementi populistici; tracollo dell’Arcobaleno che con il 3,1% non elegge, perde il finanziamento pubblico, scompare progressivamente dal radar politico e da qualunque presenza sui media.

Inizia un lungo, difficile e ancor oggi non terminato “cammino nel deserto” che ha nelle dimissioni della segreteria (segretario Franco Giordano) e nel congresso di Chianciano (luglio 2008) le prime tappe. Qui (schematizzando) si scontrano le tesi di Vendola per il superamento del partito in un contenitore più ampio e di Ferrero che punta a ridare identità comunista e di opposizione al partito stesso. L’affermazione risicata del secondo porta, nel giro di pochi mesi, alla nuova scissione con la nascita di SEL e al dimezzamento del PRC.

Il testo termina con la progressiva crisi e con la chiusura di “Liberazione”. Dopo la positiva direzione di Sandro Curzi, quella di Piero Sansonetti modifica l’impostazione del quotidiano, suscita la disapprovazione di molt* lettori/rici per scelte considerate poco opportune per un giornale di partite ed estranee alla tradizione che intende rappresentare. Nel gennaio 2009, la direzione passa a Dino Greco. Privo di pubblicità, in calo frontale di vendite, il quotidiano passa progressivamente da 24 a 16, quindi a 12 e ad 8 pagine, sino alla chiusura (Torno subito) il 31 dicembre 2011. Anche il tentativo di un quotidiano on line non avrà lunga durata.

E chiaro l’impatto negativo sulle deboli strutture, su quadri e militanti, sulla difficoltà di informazione e dibattito in un corpo politico provato da tante sconfitte.

Il libro non esprime valutazione o giudizi soggettivi. Tenta di offrire un quadro oggettivo su dieci anni di vita di un partito, inquadrandolo (forse in modo insufficiente) nelle vicende complessive.

Emergono, ovviamente, i nodi irrisolti: se nel primo testo erano la “defenestrazione” del primo segretario, Garavini, il ruolo di Cossutta, determinante nella formazione del PRC e quindi all’opposizione dei tentativi di discontinuità operati da Bertinotti, nel secondo, emerge appieno il ruolo di Bertinotti, determinante, in positivo, per l’impatto mediatico, nel rapporto con i movimenti, nella acquisizione di tematiche con cui Rifondazione doveva interloquire, pena il rischio di divenire totalmente residuale, in negativo per le continue modificazioni di linea, per una innovazione operata dall’alto, per l’eccessiva personalizzazione sino al tentativo di oggettivo superamento del partito in una realtà genericamente “di sinistra”.

I nodi continuità/discontinuità- innovazione, centralizzazione/decentralizzazione, forza di governo locale e nazionale/forma di opposizione sociale e politica percorrono tutto il testo.

Spero che, nella sua modestia, possa essere strumento utile a chi vorrà riflettere su meriti ed errori e a chi ancora sentirà quella passione durevole, filo rosso che ha legato diverse generazioni.

Mi auguro anche che il generale Covid ci permetta di riprendere le presentazioni e le discussioni, che in alcuni casi, divengono anche il racconto di (tanti) nostri anni.

 

* Sergio Dalmasso, storico del movimento operaio, è l’autore del libro Rifondazione comunista. Dal movimento dei movimenti alla chiusura di “Liberazione”, storia di un partito nella crisi della sinistra italiana, Redstarpress, Roma, 2021, pp. 303. Ricordiamo che copie del libro sono disponibili presso la nostra Federazione in via Tarabochia, 3 al prezzo scontato di 18 € oppure di 22 € (prezzo intero, sostenitrice/sostenitore).


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