Trent’anni di neoliberismo applicato alla scuola non potevano portare molto distanti dalle soluzioni che il governo Draghi ha adottato, nella sostanza e nella forma, per cambiare il sistema italiano di istruzione e formazione. La scuola, come si sta delineando nei i disegni dell’attuale governo, porta avanti imperturbabile il progetto iniziato con l’autonomia scolastica, continuato da tutti gli esecutivi e approdato al Piano scuola 4.0 compreso nel decreto PNRR2 che prevede lo stanziamento di 2,1 miliardi per la scuola pubblica.
Lo scopo è di cogliere quella che l’Agenda digitale proclama con accenti profetici: l’occasione è davvero unica e irripetibile e forse anche l’ultima per poter riformare e rendere più competitiva la scuola pubblica in Italia. E l’intento è chiaro e categorico, vista la possibilità che l’attuale premier chieda la fiducia sulla riforma della scuola.
Messa così, il pacchetto scuola assume già l’aspetto di una contro riforma del sistema educativo italiano imposta dall’alto, senza che siano ascoltate le associazioni di categoria riguardo ai profondi cambiamenti strutturali previsti, al contratto nazionale scaduto e mai rinnovato e alla solita annosa questione della retribuzione salariale e al legame che attualmente ha con le politiche economiche europee.
Infatti, contemporaneamente si prevede una nuova forma di reclutamento dei docenti e un nuovo percorso di formazione professionale che ha suscitato molte e aspre critiche, e di cui si è parlato nello scorso numero del Lavoratore: una modalità sempre meno libera e sempre più ingabbiata in percorsi di condizionamento culturale.
Quanto emerge, è che la scuola che si vuole moderna, inclusiva e collaborativa continua (come già per la distribuzione dei fondi di istituto in base ai crediti ottenuti e al giudizio del comitato per la valutazione dei docenti) con il mettere gli insegnanti gli uni contro gli altri mediante un sistema premiale che riconoscerà un incentivo una tantum solo al 40% dei partecipanti, tra coloro che accetteranno di entrare in un sistema di controllo e monitoraggio di nove anni sui propri progressi e a farsi valutare da un comitato.
Il docente avrà, quindi, tre anni di tempo per dimostrarsi docile e obbediente, disposto a imparare una serie di protocolli per mettere in atto quella che nel PNRR è definita Scuola 4.0: scuole innovative, cablaggio, nuovi ambienti di apprendimento e laboratori. Dopo aver superato tre corsi di formazione triennali, e dopo la valutazione positiva, potrà essere nominato docente esperto e gli sarà riconosciuto un premio una tantum di 5650 € lordi.
In un sistema così moderno, affidato a strumenti come l’Intelligenza Artificiale (sebbene la funzionalità della quale debba ancora essere messa a punto), la terminologia reboante, ampollosa e futuribile usata dal governo Draghi fa sembrare la Buona scuola renziana un vecchio arnese da cavernicoli, pur essendo stata un passo decisivo verso il nuovo sistema.
Infatti la scuola 4.0 prevede una serie di abbaglianti progetti come la Didattica digitale integrata e formazione sulla transizione digitale del personale scolastico, sviluppo di competenze informatiche per avviare la scuola ai mestieri del futuro con le discipline STEM, riduzione dei divari territoriali, innovazione tecnologica, e ancora Citizen experience, adozione di Pago PA, SPID e CIE per le interazioni amministrative con le scuole. E poi le Next Generation Classrooms con nuovo design per i nuovi ambienti di apprendimento delle nuove progettazioni didattiche; oppure i Next Generation Labs per addestrare alle nuove professioni digitali del futuro come cloud computing, economia digitale, e-commerce, blockchain etc. etc. tanto per citare solo qualche esempio.
Queste sono soltanto alcune delle novità che permettono e promettono di lanciare la scuola verso il futuro, molto probabilmente (e astutamente) incontrando il favore di chi vede nella sistema formativo italiana un esempio di antiquariato da museo di una civiltà superata. È recente, forse famosa, la maglietta del maturando che recava la scritta la scuola italiana fa schifo.
Però, sono tutte novità che si fondano sempre su un vecchio assunto, vecchio e paradossale: per decollare, queste novità rivoluzionarie hanno bisogno di una classe di lavoratori che da sempre è considerata refrattaria all’innovazione e che porterà sempre impresso il marchio di docenti fannulloni coniato dal ministro Brunetta quando dichiarò guerra alla pubblica amministrazione. Brunetta fece emergere una buona dose di antipatia, se non di odio, nei confronti di una categoria da sempre bistrattata e malpagata. Una categoria così sottostimata dalla pubblica opinione, che la fantasia pedagogica e pubblicitaria di un editore si è sentita in diritto di sfruttare e condensare questo disprezzo inventando il Professor Cacca che insegna addizioni e sottrazioni con l’aiuto della popò e legittimando l’operazione come portatrice di contenuti formativi fondamentali della scuola primaria. E, soprattutto, cavalcando la ormai troppo e tristemente nota inettitudine degli alunni italiani a svolgere le operazioni di matematica elementare.
Da qui la contraddizione: si vuole lanciare un progetto fortemente innovativo, al passo con l’avanzare della rivoluzione digitale e la richiesta di nuovissime figure professionali. Ma per farlo, la scuola ha bisogno di quei lavoratori che i testi di preparazione al concorso per presidi definiscono, fin dal 2015, diffidenti verso le novità e culturalmente pigri nel superare polverose pratiche ormai obsolete. Quindi urge, continuano, prevedere e saper gestire un’iniziale resistenza, fisiologica, legata all’elemento stesso di novità.
Come fare a smuovere una categoria di lavoratori la cui rappresentazione oscilla tra la cacca, la neofobia e l’infingardaggine?
La risposta è stata trovata con il decreto sul reclutamento e formazione dei nuovi docenti, con quel percorso di condizionamento obbligato e premiale che si è detto.
Il che pone l’ultimo e solito quesito: come si possa conciliare educazione e libertà. Ovvero come possano conciliarsi istruzione e apprendimento con l’addomesticamento delle menti e delle coscienze mediante il controllo e la misura.